Ferrari 640 F1: una macchina che aveva un'anima

Ferrari 640 F1: una macchina che aveva un'anima© Motorsport Images

Il 26 marzo 1989, al GP Brasile, la Ferrari 640 F1 apriva il mondiale vincendo: era la prima nata dopo la morte di Enzo Ferrari, ma era soprattutto la prima vettura dotata del rivoluzionario cambio semi-automatico, una soluzione che avrebbe fatto scuola

26.03.2024 15:13

L'analisi tecnica

Era una Rossa di rottura, quella. A Maranello, questo per farci ricordare quanto sia circolare la storia, stavano vivendo una mezza rivoluzione: Enzo Ferrari se n'era andato, Cesare Fiorio era appena arrivato a dirigere la Gestione Sportiva e John Barnard si preoccupava di ultimare il progetto a cui stava lavorando da un po': era stato scelto da Enzo Ferrari alla fine del 1986, a F1-87 già ultimata, di cui seguì poco pure la sua evoluzione (la F1-87/88, una vettura lasciata abbastanza al suo destino) per concentrarsi a dovere sulla monoposto del 1989, quella della rivoluzione motoristica che avrebbe portato al ritorno degli aspirati. Poco o nulla fu lasciato al caso sulla 640 F1, chiamata anche F1-89: 640 era il numero di progetto interno, nella numerazione che ancora oggi viene utilizzata prima di conoscere il nome ufficiale della vettura. Poco o nulla fu lasciato al caso, dicevamo: oltre ad un V12 a lungo preparato, dal punto di vista aerodinamico la vettura affinava di molto le forme del modello da cui proveniva, presentandosi con un muso molto schiacciato che le dette il soprannome di "papera". Si avvaleva di forme sinuose per quanto riguardava le pance e venne concepita con due prese d'aria appena dietro la testa del pilota, anche se esigenze di raffreddamento del motore fecero fare marcia indietro ai tecnici per rispolverare un airscope più tradizionale. Non da meno l'aspetto meccanico, con il doppio schema a puntone (push-rod) sia all'anteriore che al posteriore per quanto riguardava le sospensioni. Ma sempre in ambito meccanico, ovviamente, la grande novità era quella del cambio semi-automatico: e qui la storia si tinge di leggenda.

I perché ed i vantaggi del cambio semi-automatico

Mauro Forghieri aveva già sperimentato un cambio semi-automatico alla fine degli anni '70, e lo testò anche Gilles Villeneuve. Gilles, sincero, disse che senza leva del cambio non si divertiva; Forghieri lo capì, e poi c'era un aspetto per nulla secondario, quello delle risorse: per ultimare quel progetto, sarebbero servite tecnologie e spese che la Ferrari dell'epoca non era in grado di procurarsi. Così, il progetto che vide la luce con la 640 F1 non era affatto collegato a quello che era stato abbozzato circa un decennio prima. Fosco De Silvestri ci tiene a sottolinearla, questa cosa: il suo studio nacque da un'idea di Jean Jacques His (il quale di lì a poco sarebbe passato in Renault), che voleva un cambio in grado di non perdere troppa potenza tra una cambiata e l'altra del motore turbo. L'idea però restava buona pure per il V12, che avrebbe girato in "alto", per cui avere un tempo di cambiata ridotto ed eventualmente più marce sarebbe stata una buona chiave per massimizzare le prestazioni. Il progetto, con il benestare di Barnard, partì con il responsabile dei cambi in casa Ferrari, Fosco De Silvestri: era il Natale del 1986

I primissimi test in pista della nuova soluzione, dunque, avvennero con una F1-86 appositamente preparata. Sole o pioggia, caldo o freddo: ogni condizione vedeva girare in pista le Rosse a Fiorano in una lunghissima fase di sviluppo per il nuovo e rivoluzionario cambio. Si pensò ad un doppio tipo di frizione portato avanti in parallelo (poi si sceglierà la frizione automatizzata), ma soprattutto ci si rese conto che c'era un enorme effetto collaterale ben accetto: la fatica molto inferiore richiesta ai piloti alla guida. Inoltre, il nuovo cambio ebbe ripercussioni dirette anche sulla progettazione della vettura, che con il nuovo cambio poteva permettersi di contenere l'allungamento del passo già previsto dalle normative per il 1989, tra cui il passaggio agli aspirati e l'arretramento della pedaliera all'anteriore rispetto all'asse delle ruote. Altra scelta non da poco, fu quella delle leve dietro al volante: inizialmente sul tavolo c'era la soluzione con i bottoni sul volante, ma alla fine, con il contributo di Piero Ferrari (lo spiega De Silvestri, nel suo libro), si virò su quella che sarebbe diventata la soluzione definitiva.

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