Ayrton Senna, idolo senza tempo e primo nell'albo d'oro del cuore

Il brasiliano, 30 anni dopo quel maledetto 1 maggio, è come se fosse ancora in testa a una corsa dalla quale è uscito quando era al comando. Anzi, è ancora lì, primo assoluto nella classifica dell'amore sportivo, irraggiungibile

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Stefano Tamburini

30.04.2024 12:03

È un’assenza molto presente, quella di Ayrton Senna, ben più che un grande pilota, un campione, un ispiratore di sogni. Va detto subito: qualcosa di simile non c’è, nello sport dei motori e nello sport in genere e anche nel mondo più ampio che comprende arti, mestieri e suggestioni. Sì, per Ayrton non basta dire che prima era uno che piaceva a tanti e dopo è piaciuto a tutti. Senna, 30 anni dopo quel maledetto primo maggio, è come se fosse ancora in testa a una corsa dalla quale è uscito quando era al comando. Anzi, è ancora lì, primo assoluto nella classifica dell’amore sportivo, inarrivabile. Non c’è un’altra storia avvicinabile a quella di questo brasiliano che quando se n’è andato aveva 34 anni e uno sguardo velato di tristezza che sapeva aprirsi in sorriso gioioso. Uno così sarebbe piaciuto anche se non avesse fatto acrobazie al volante ma le magie in pista erano più che un valore aggiunto, perché c’erano coraggio, tecnica, talento, sogni da regalare a ogni manovra. Era uno che vinceva anche se non arrivava primo, perché era quello che avrebbero voluto essere tutti quanti se fossero stati al suo posto. Uno come Dino Zoff, capitano dell’Italia del calcio campione del mondo nel 1982, nel 1994 allenava la Lazio e il giorno dell’incidente era in panchina per una partita di Serie A; a distanza di anni racconta di non ricordare contro chi avesse giocato: "Quello schianto mi è rimasto dentro. La partita? Come se non ci fosse stata".

Quel 1° maggio 1994 dentro la redazione di Autosprint

LA GLORIA OLTRE I NUMERI 

Oggi Ayrton avrebbe appena compiuto 64 anni ed è un esercizio inutile chiedersi quanti Gran Premi e quanti Mondiali avrebbe potuto vincere. Del resto, quasi nessuno, a parte i più legati al mondo della Formula Uno, ricorda a memoria che i titoli sono stati tre, le gare vinte 41 e che sul podio c’era salito ottanta volte. Potrebbe cambiare qualcosa se di Mondiali ne avesse vinti sette come Michael Schumacher e Lewis Hamilton o anche di più? No, perché Ayrton è andato oltre il ricambio generazionale al punto che i piloti che hanno vinto dopo, anche quelli che non lo avevano mai incrociato, sentono sempre il bisogno di un omaggio senza il cattivo gusto del festival della forzatura ruffiana. Lewis Hamilton porta un casco che si richiama a quello di Ayrton e chi va in giro per kartodromi ha di fronte immediatamente la visione di molti dei colori usati dal campione brasiliano dipinti su caschi e tute di quei ragazzi che sognano di essere un giorno come Senna, pur non avendolo mai visto correre. Anche uno apparentemente algido come Max Verstappen, quando lo ha raggiunto nella classifica delle gare vinte, ha avuto parole che sono quasi un inchino al campione del passato. In fondo Ayrton per tutti quanti – per chi lo ha visto correre e per chi non c’era e se l’è fatto raccontare – era l’Amico Geniale, ancor prima che ci scrivessero un libro al femminile, quello che era capace di scelte inimmaginabili in pista, di trionfi impossibili ma anche di solitari slanci di solidarietà tenuti al riparo dalla divulgazione.

Su tutte c’è la storia di Massimo, un ragazzo di Imola che si era risvegliato dal coma anche grazie a un nastro registrato con la voce di Senna. Quando il campione venne a conoscenza di questa storia, in occasione di alcune prove sul circuito, si fece accompagnare in ospedale da Giorgio Serra, vignettista di Autosprint, da quel ragazzo purtroppo rimasto tetraplegico, intrattenendosi a lungo. E la stessa cosa accadde altre volte, anche alla vigilia del Gran premio nel quale trovò la morte. Uscendo dall’ospedale incrociò un giornalista della Rai, Ezio Zermiani, al quale chiese di non rendere pubblica quella cosa. Era sua e di quel ragazzo. E basta. E lo è rimasta a lungo. Con un fotografo di Autosprint, Angelo Orsi, Senna aveva un rapporto speciale, di lunga data. Da quando, ragazzino 23enne a Silverstone nel 1983, lo aveva avvicinato quasi timidamente con queste parole: "Senti, ora io sono giovane e poco conosciuto, ma il prossimo anno debutterò in Formula Uno e intendo diventare tra non molto campione del mondo. Te la senti col tuo mestiere di darmi una mano?".

AMATO COME NESSUN ALTRO

La capacità di instaurare rapporti umani solidi, leali, era anche e soprattutto un desiderio che si percepiva nelle furiose battaglie con il nemico presidente della Fédération Internationale de l’Automobile, Jean Marie Balestre, che faceva sempre scelte favorevoli al connazionale Alain Prost. Ma non era solamente in quei frangenti che si avvertiva lo spessore del capitale umano. In altri sport raramente c’è stato il campione di tutti o di quasi tutti, c’è stato Roger Federer nel tennis e adesso c’è Jannik Sinner, uno che per il pubblico meno avvezzo è spuntato quasi dal niente ed è diventato una calamita verso i televisori ogni volta che scende in campo per giocarsi qualcosa di importante, grazie alla sua semplicità, a quel comportamento da ragazzo della porta accanto senza che ci sia una strategia per mostrarsi così solo perché conviene. E un po’ lo sono stati, almeno a casa nostra, calciatori come Gaetano Scirea, Gigi Riva, Dino Zoff e Roberto Baggio. A livello planetario Pelé, Diego Armando Maradona e Johan Cruijff. Poi Kobe Bryant nel basket, Muhammad Ali nel pugilato. E nell’atletica Usain Bolt, Pietro Mennea e pochi altri...

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