Quel 1° maggio 1994 dentro la redazione di Autosprint

Ecco la cronaca minuto per minuto del giorno che cambiò la storia della F.1

29.04.2024 11:35

Non mi sento reduce del 1° maggio 1994 ad Autosprint, perché per fortuna quasi tutti i colleghi della redazione ci sono ancora, altrove e in gran forma. Il caso vuole, comunque, che sia l’unico presente quel giorno ancora in servizio ad Autosprint, a San Lazzaro di Savena, in via del Lavoro 7.

Basta chiedere gli occhi ed è dolce tornare a quei giorni. La redazione, a pianterreno dello storico stabile, brulicava di giornalisti e grafici. L’isola delle scrivanie era a macchie rettangolari grigio-formica, in un mare di mattonelle rosso cotto.

Il mondo, là fuori, non era mica regalato.

L’ipoconnessione ci vedeva interfacciati al globo solo grazie al notiziario ANSA che s’aggiornava un rigo al minuto e ai telefoni che squillavano di continuo. Davanti avevo una vecchia macchina da scrivere, la cui base, in mezzo ai tasti, era tutta cenere, perché fumavo e si fumava in tanti e tanto, sempre. A sinistra c’era il caporedattore Franco Nugnes, alla destra il caposervizio Sergio Remondino, davanti, a ore dieci, Pietro Gasparri.

C’era un solo computer, ad Autosprint, grande come il caldaio di nonna, e il Direttore Cavicchi era il solo a scriverci: lo chiamava, non a caso, il pentolone.

Senna e quel pilota con la monoposto viola

Con Senna avevo avuto un solo contatto diretto, un mese e mezzo prima. Il fotografo Angelo Orsi mi aveva chiamato per farmi assistere a una sua telefonata dopo il primo test con la Williams.

Quel “Ciao Ayrton” ancora mi fa battere forte il cuore. Così avevo udito “Beco” raccontare: «La macchina non è facile da guidare e nell’abitacolo sto stretto. Uso un volante più piccolo di quello che avevo in McLaren. Dovrò pensare qualcosa, vedremo...».

Ascoltare Senna al telefono dà adrenalina e quello che sta per succedere, col senno di poi, lo giudico squassante. Sentite... «Angelo (col la g dolce, come solo un brasiliano può pronunciare), in pista c’era anche quella monoposto nuova, quella mezza viola, come si chiama... E chi la guida?».

Angelo Orsi mi guarda con un’espressione interrogativa mentre dice ad Ayrton: «Momento, chiedo al collega che sta qui». Ho in mano la strisciata dei tempi arrivata da poco dal comunicato Ansa. Leggo, arrivo in fondo e mi limito a dire «Viola è la Simtek e il pilota che oggi ha girato è il debuttante Roland Ratzenberger».

Ripensandoci adesso, a ciò che è scritto nel destino, mi vengono i brividi.

Aria di festa prima di quel GP a Imola

Ayrton che incontra per la prima volta Roland in F.1, chiede di lui e di nessun altro. Il caso. Già.

Dicono che nell’aria, poi, in quella fine d’aprile, aleggiasse un che di triste, presago delle tragedie già disegnate dal destino e che tutti ne fossimo inconsapevoli partecipi. È falso.

Era un bellissimo fine settimana e ci sentivamo tutti allegri. Il venerdì sera, dopo il pur bruttissimo incidente di Barrichello, ero a Imola, in centro, invitato al “Premio Giornalistico Ezio Pirazzini da Vivo”, serata goliardica col vecchio Pirezio, mitografico inviato del Carlino, festeggiato. Pericoloso e imprevedibile come una divinità etrusca.

Pino Allievi oggi come allora comandava le danze. A tavola ero accanto a Claudia Peroni, dotata di una scollatura profonda come la fiancata di una Jordan. Di Barrichello nessuno era preoccupato: era vivo, stava bene e tanto bastava. Gli era andata grassa.

Quindi, il clou. Eccoti il Pirezio e Pino gli dice che per lui c’è la sorpresa più grande della sua vita, ovvero la diva che ha sempre sognato.

Buio, musica, nebbia, un’ombra s’appropinqua, poi luce in sala. Sandra Milo in tubino nero. Pirazzini, che stava ghermendo una pizza bianca, la posa, le salta addosso, qualcuno intona la marcia nuziale. Stacco. Finisce lì, col Pirezio commosso che torna seduto e Sandrocchia pure. Con sulla chiappa destra stampata la manata infarinata del Pirezio.

Tutto questo per dire che il venerdi i giornalisti erano, eravamo lì. Chi dice che ha cenato con Senna, mente. E se fosse vero che Ayrton - che poi il sabato andò a letto presto - avesse cenato con tutti coloro che hanno dichiarato d’averci mangiato, be’, allora, sarebbe morto d’indigestione.

L'editoriale del Direttore: Ayrton, idolo senza tempo

Senna, l'incidente e l'addio

Domenica 1 maggio, ore 14, redazione di As. Cavicchi m’invita a vedere il Gp nel suo ufficio, insieme a Franco Nugnes. Lui tifa Senna e non ama troppo Schumi e la Benetton. E neanche che io mi accenda una Marlboro, quindi nada fumo. Charlie esulta per Ayrton scattato bene, poi il crash al via, la Safety-Car, il restart e il finimondo al Tamburello. Maledizione. Tutti zitti. Ayrton resta fermo. Poi buttò là: “ha mosso il casco, ma sembra quasi un rantolo...”. Il Dir mi strilla: “Ma che cavolo dici?”, è arrabbiato, nervoso, sovraeccitato e in realtà non dice cavolo.

Si mette male. Senna è ferito di sicuro. Secondi, minuti.Restiamo lì. La prima telefonata da Imola è di Alberto Antonini: “Alla Williams in radio hanno nominato lo sterzo, power steering o qualcosa del genere. Pare ci sia stato un problema in macchina...".

Ayrton sta male, è certo, e sembra ferito alla testa.

Cavicchi non perde lucidità, anzi, ne acquista sempre di più. Chiama la collega Marisa Imbrogno a casa e le dice secco: «Vai all’Ospedale Maggiore, lo porteranno lì e restaci fino a quando puoi».

Poi l’elicottero. Il rombo. Diverso, basso, forte, vicino, osceno, terrificante. La nostra Apocalypse Now. Ayrton sta passando sopra di noi, verso il Maggiore. Vedo Cavicchi per la prima volta sgomento, mentre Nugnes guarda il vuoto.

Alle 17 torna da Imola Arturo Rizzoli, coi rotolini da sviluppare degli scatti di Angelo Orsi.

Cellulari non ce ne sono. Non possiamo sapere che Angelo Orsi è l’unico al mondo ad aver fotografato tutto. In Tv Poltronieri, Zermiani e Regazzoni danno vita alla diretta più lunga nella storia dei Gp, quasi quattro ore live.

Marisa chiama dal Maggiore: «Qui dicono che la situazione è disperata, stanno tentando trasfusioni, ma senza risultati». Infine in TV una dottoressa annuncia in diretta la fine di Ayrton.

Quell'Autosprint del 1° maggio 1994

Cavicchi sparisce. Tornerà solo per andare da Nugnes e col viso calmo ma provato gli dice: “Ho deciso. Usciamo in nero. È morto Senna. Nient’altro”. Franco non replica. Nessuno parla.

Poi in redazione rientra Angelo Orsi, da Imola. Ha l’espressione trasfigurata. Non dice nulla a nessuno. Si ferma davanti ai bagni, si prende la testa fra le mani, s’appoggia al muro e piange. Silenzioso, senza singhiozzi, per chissà quanto. Nessuno ha coraggio d’avvicinarsi.

Andiamo avanti come automi. Per l’una di notte il giornale è pronto. Non molto dopo arriva la cianografica, ovvero la prova in carta chimica del numero 18. Cavicchi controlla la parte della F.1 minuziosamente, poi riguarda tutto il giornale. Strano. Il resto è precotto, non ha senso scandagliare. Ma... C’è qualcosa che non va da qualche parte, ma non so cosa”, fa lui. Poi, giunto a una delle pagine finali, resta impietrito. “Togliete questa pubblicità, sennò siamo fregati”.

In foto c’è il povero Ayrton, testimonial Tag Heuer, con su scritto “Don’t crack under pressure”, non si rompe sotto pressione. L’istinto di Cavicchi aveva funzionato, una volta di più.

Quel numero, terribile e indimenticabile, poteva partire per le edicole. Autosprint era solo all’inizio di una stagione in cui avrebbe rivelato al mondo la verità su quanto era accaduto ad Ayrton.

Fino a quel giorno, c’erano Cavicchi al timone e Senna in pista. Arrivavo al lavoro un’ora prima per stare da solo, chiudere gli occhi e dirmi “che bello, essere qui”.

Trent’anni dopo tante cose sono diverse ma in fondo è lo stesso. Magari mi piace più di allora.

Perché certe storie non finiscono mai.

Da martedì 30 aprile è in edicola un numero speciale dedicato ad Ayrton, con un doppio poster dedicato al Campione brasiliano a 30 anni dalla sua tragica scomparsa.


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