L'editoriale del Direttore: Ayrton, idolo senza tempo

A 30 anni dalla tragica scomparsa del fenomeno brasiliano, Autosprint dedica un numero speciale a Magic ricordando la battaglia condotta dal settimanale per la verità su quello che accadde a Imola il 1° maggio 1994

Andrea Cordovani con Carlo Cavicchi

29.04.2024 16:48

Quello che state iniziando a sfogliare è un numero speciale di Autosprint. Si celebrano i trent’anni dalla scomparsa di Ayrton Senna e il via di una grande battaglia (vinta) dal settimanale da corsa per scoprire la verità sulla sua morte a Imola il 1° maggio del 1994. Questo è un editoriale condiviso con Carlo Cavicchi, all’epoca direttore di AS. Ayrton Senna. Al solo citarlo trema ancora la tastiera. Trent’anni fa se ne andava la stella più grande del firmamento della F1. Trent’anni dopo siamo ancora qui a celebrarne la grandezza allargando i confini di una leggenda che si tramanda di generazione in generazione. «Senna è un fenomeno unico».

Ayrton Senna, una leggenda anche dopo 30 anni

- Perché continuiamo ad amarlo?

«La sua morte in mondovisione ha scosso le coscienze. Da quel giorno Ayrton divento per tutti un punto di riferimento. Pensi alla guida sul bagnato e ti viene in mente Senna, pensi alle pole e Magic è sempre lì a essere la stella polare per tutti quanti. Ayrton intriga ancora. I suoi occhi ti catturano ancora. Era un personaggio complesso, che fuggiva al pettegolezzo. Si considerava il più forte. Ti trasmetteva una grande consapevolezza».

- Ayrton è stato un amico fraterno di Autosprint...

«Veniva a trovarci in redazione. Era molto attaccato al nostro fotografo Angelo Orsi e alla rivista. Senna parlava solo di corse e automobili, voleva sapere tutto. Ricordo ancora la prima volta che si presentò in redazione a San Lazzaro di Savena. Era il 1985: si presentò con una valigetta da manager. Fin dal primo momento in cui l’ho conosciuto sono rimasto colpito dalla sua convinzione».

- Il suo editoriale nel giorno della morte di Senna, spiega tutta la difficoltà anche di chi certi eventi li deve raccontare: “In certe giornate il nostro è proprio un mestiere di melma. Ce lo siamo detti più volte in redazione, con gli occhi lucidi e lo stomaco chiuso, mentre cercavamo di far ordine sull’incredibile e maledetta sequenza di eventi nefasti che hanno concluso il terribile fine settimana di Imola...”

«Risento ancora il rumore delle pale dell’elicottero che passa sopra il mio ufficio, sopra le nostre teste confuse e stordite, in volo da Imola all’ospedale di Bologna. In quel momento capì che era finita. Eravamo tutti sconvolti e cercammo di fare il giornale più equilibrato possibile. Ma non poteva essere una morte banale quella di Ayrton. Mi tornano in mente le sue parole: “La F.1 è pericolosa, spero di fare una morte veloce”».

La battaglia di Autosprint per la verità su Senna

- Il Sospetto. La copertina del numero successivo alla scomparsa di Ayrton, racconta il via di una grande inchiesta. Andiamo al suo fiore all’occhiello: il caso Senna.

«Professionalmente parlando, è la medaglia che porto sul petto. Tutto comincia con le foto shock di Angelo Orsi che ritraggono Ayrton orribilmente ferito a morte, al momento dei primi soccorsi. Tanto è la crudezza delle immagini, che decido di non pubblicarle e, di concerto con Angelo, di segretarle per sempre. Perché non era speculando sull’orrore che volevo muovermi, non era il giornale che volevo io. Così la scelta viene compiuta e mai più ci si torna sopra. Perché una testata che pubblica quelle foto mai sarà il giornale che voglio io. E oggi rifarei esattamente la stessa scelta».

- Tutto il mondo (e non è un modo di dire) cercava quelle immagini...

«Arrivarono richieste da ogni parte del globo. Sul piatto tanti soldi. Tanti giornali non ebbero pietà. Noi sì».

- L’intuizione su imbeccata di Tarquini che è il piantone dello sterzo la parte sospetta d’avaria, prende sempre più corpo. E alla fine sta in piedi alla grande, anche se sostenere la tesi, difenderla e chiedere la verità, anzi, la conferma di una verità scoperta, diventa difficile. Ci vuole un fisico bestiale.

«All’inizio fu una cosa di pancia e di sentimento, poi è stata dura e tutt’altro che facile insistere sul volante. Visto che sono arrivate delle cause molto pesanti, robe che complessivamente facevano ballare dei miliardi di lire di possibile spesa e Parrini, l’editore di allora, che aveva rilevato il posto di Luciano Conti, mi chiese, peraltro con tatto, se era davvero il caso di stare a insistere su questa linea. Si andò avanti, col supporto ideale della redazione, su tutti il mio vice Franco Nugnes, che portò avanti un lavoro ammirevole e capillare di verifica e riscontro. In poche parole, mia moglie non dormiva la notte. Poi alla fine, a forza di chiederla, praticamente di esigerla, anche con uno strillo in cover tutte le settimane, la verità viene a galla. E adesso sembra tutto normale, scontato, terribilmente logico, ma ci sono stati lunghi giorni, mesi in cui non lo è stato affatto. Ora, certo, come dicevo, porto questa vicenda cucita addosso come una medaglia e ne sono profondamente orgoglioso. L’inchiesta di Autosprint per scoprire la verità sulla morte di Ayrton è la più grande vittoria del nostro settimanale da corsa. Sì, quella volta facemmo davvero i giornalisti».

- Sono stati momenti difficili, pieni di pressioni da ogni parte...

«A un certo punto, cause e querele iniziarono a sommarsi. Ma andammo avanti imperterriti: ci sentivamo nel giusto».

- La F.1 non ci uscì così bene, né dal processo, né tantomeno dall’inchiesta di As.

«Ma, sai, la F.1 voleva gestire un affare del genere in proprio, ritenendola una questione interna e che non doveva uscire dall’ambito stretto del Circus, tutto doveva essere cloroformizzato. Non è andata così. La verità si è fatta strada. Lo dovevamo a Senna».

Ayrton, un ragazzo veloce e sincero 

- Come aveva trovato Ayrton, quando avevate scritto insieme il fortunato volume “Senna Vivo”?

«Un ragazzo preciso, puntiglioso, molto attento ma anche aperto, sincero e interessante. Per esempio nel libro dovevo per forza mettere le sue litigate o le manovre estreme in pista con Mansell a Spa e con Alboreto a Zeltweg e lui non ebbe alcun problema a permettermi di riportare dei fatti anche un po’ delicati e non certo tutti elogiativi nei suoi confronti. Poi, ovvio, il bellissimo rapporto con Angelone Orsi era la garanzia di una fiducia reciproca e di una frequentazione cara, tanto che Ayrton si prestava di buon grado anche a venire con noi la sera a vedere il basket a Bologna, tanto per ricordarne una».

- Il Gran Premio più bello della storia?

«Dico d’istinto il finale di Monaco 1992, con Mansell su Williams che pressa Senna su McLaren come non ci fosse un domani, anche se Ayrton ce la fa a resistere e va a vincere. Tanto che non a caso considera adrenalinicamente Nigel, testuale, “Il solo pilota che quando ti attacca lo vedi in entrambi gli specchietti”».

- Se trent’anni fa, quel piantone non si fosse rotto e Ayrton Senna fosse ancora tra noi che cosa immagina che farebbe?

«Sicuramente sarebbe diventato Presidente della Repubblica in Brasile. Lui era il simbolo di quel Paese allora in grandissima difficoltà. Lui era il Brasile che funzionava. L’idolo di un intero Paese e di tutti quelli che amano lo sport e la F.1».

Da martedì 30 aprile è in edicola un numero speciale dedicato ad Ayrton, con un doppio poster dedicato al Campione brasiliano a 30 anni dalla sua tragica scomparsa.


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